Dopo i monologhi di Oscar De Summa e Roberto Corradino, la “Puglietudine” si manifesta come koinè anche nel caso di Gianfranco Berardi, attore che al Teatro di Ca’ Foscari di Santa Marta ha rappresentato Briganti, spettacolo vincitore del “Festival Internazionale Lugano – sezione Nuova Drammaturgia” nell’ottobre 2005 (anno in cui ha vinto anche il Premio Scenario con Il deficiente, testo di cui è stato coautore insieme a Gaetano Colella). Berardi ha lavorato con Cesar Brie e Marco Manchisi, elaborando uno stile sviluppatosi dal linguaggio teatrale di Leo De Berardinis e da un percorso formativo sulla Commedia dell’Arte. Il professore Paolo Puppa, che il 18 marzo ha condotto un incontro con l’artista presso l’università veneziana, ha riconosciuto nell’opera del regista, che affronta il brigantaggio meridionale post-unitario, uno spettacolo vicino alla Venezia del Cinquecento, periodo nel quale la città lagunare era un incrocio tra lingue slave, turche, arlecchinate, lingua bergamasca legata alle aree povere di contadini e pastori, lavoratori di legname nella Serenissima. Arlecchino, ha precisato il docente, era un trasportatore di legname e parlava un dialetto stretto. Nell’area meridionale il napoletano e il siciliano erano “macchine comiche”. In quel periodo operava anche Ruzante, lo Shakesperare della Serenissima. Diversità idiomatiche  si sentono anche in Briganti, in cui il dialetto basso del protagonista si scontra con il pugliese ordinario della madre che tenta di aprirsi all’italiano, producendo conflitti espressivi generati anche dagli accenti, dai suffissi piemontesi che un garibaldino doveva imparare, creando tensioni che fanno ridere, che accostano paura e comicità, che danno corpo all’ immagine di un eroe rassegnato per sopravvivere. Ci sono un gioco delle lingue, un ossimoro, una compresenza di gag tra persecutore e perseguitato, una vertigine di orizzonti espressivi diversi e culturali. Berardi interpreta un brigante rinchiuso in una cella delle carceri dell’ex- Regno delle Due Sicilie, soggetto a una balbuzie nevrotica, creatore in rapidità di una mutazione dei personaggi, di carattere.

Paolo Puppa ha citato un saggio di Strehler dedicato ai Giganti della montagna di Pirandello, in cui gli Scalognati, i Matti deliranti, stampano sui muri le immagini dei loro desideri. Si chiedono “Perché cercare il pubblico?”, e si considerano: “Noi di notte facciamo teatro, liberando le caverne del nostro inconscio”. Berardi porta alla luce una rivendicazione al gioco teatrale che nasce dall’infanzia. La presenza della seggiola come oggetto drammaturgico, ha ricordato a Puppa il racconto Aleph di Borges, in cui i bambini che giocano a teatro prendono una sedia, gamma di simboli spaziali e caratteriali analizzati anche negli studi dello psicologo e pedagogista J. Piaget, in cui la sedia viene interpretata come barca, subendo un investimento semantico magico di una cosa altra. Berardi ha compiuto la scelta di dare funzione all’oggetto, componendo su di esso una partitura di suoni infantili, servendosi di esso come una trincea, un carcere, in uno spettacolo espresso tra il trionfo del minimalismo teatrale e la richiesta al pubblico di collaborare. Il tema del brigantaggio offre anche una riflessione sul carcere, inserita dall’attore in una narrazione zigzagante priva di un flashback coerente, una pancronia in cui c’è uno spostamento avanti e indietro della storia. Alla fine i vincitori  stuprano le donne.  Berardi interpreta lo stupratore servendosi della sedia Caterina, figurandosi con una faccia terribile, da ragazzino ingenuo, lo scemo del villaggio iniziato dagli adulti. Lo spettacolo dona il rapido scorcio di un Risorgimento violento. Puppa ha citato il saggio di Bachtin sul comico carnevalesco e il suo pensiero su Dostoevskij come un rivoluzionario per la libertà, commistione di un incontro tra una principessa e un barbone,  prodotto di contatti interclassisti di cui è seminato anche lo spettacolo di Berardi.

Nel corso dell’incontro pubblico con l’attore, il professore ha letto il pezzo finale della pièce Briganti, contenuta insieme a Il deficiente e a Land Lover nel volume edito da Ubulibri Viaggio per amore. Considerando che secondo le buone regole della scrittura teatrale incipit e congedo sono molto importanti, Puppa ha osservato come nel testo di Berardi ci siano un inizio dinamico e una fine retorica, che si rifà agli spettacoli di gruppo di Dario Fo, in particolare “L’operaio conosce 300 parole, il padrone 1000: per questo è lui il padrone”, in cui la ricostruzione del funerale di Lenin presenta l’idea di un finale patriottico. Gianfranco Berardi ha espresso le sue idee sul testo e sulla scena.

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